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CILINDRO, PAPILLON E BENZINA

In questa seconda raccolta di poesie, Fabrizio Tagliaferri imbocca la strada, a lui particolarmente congeniale, di una scrittura aggressiva e vagamente sarcastica. Quasi uno sberleffo volto ad offendere e tradire l’attesa mentale del lettore, in un continuo depistaggio psicologico.
Così facendo, egli mette in mostra naturali doti di spiazzamento, utili al raggiungimento di un senso ulteriore. Viene da pensare, per esempio, alla tecnica della traduzione automatica del cuore, cara al movimento surrealista. Ma ancor di più alla provocatorietà insita nel mondo rock, a cui questi testi sembrano alludere, se non attingere. Come non pensare alla spietata scorrevolezza delle ballate più libere, deliranti, del primo Bob Dylan. O all’altro lato della strada cantato per sempre da Lou Reed.
Sì, perché, in effetti, l’aspetto più convincente di questo libro sta nella forza delle immagini e nell’apparente immediatezza delle frasi, gettate in pasto a un tu misterioso e necessario, con cui il poeta si confronta di continuo, al quale rivolge le sua spasmodica attenzione esistenziale e artistica, come nella notevole Poeta.
L’ambiguo rispetto per la poesia canonicamente intesa e l’alta stima per il trasbordare della musica interiore, la naturale propensione a favore del ritmo libero del proprio respiro, sono di certo fattori pro. Input che spingono il libro verso nuovi lettori (o lettori nuovi), ragioni sacrosante per una pubblicazione che voglia, oggi, stare sui suoi passi.
La poesia di Tagliaferri sembra aspirare spontaneamente al doppio: a sbavare tenendo il tempo, a farsi musica venefica e potabile, a staccarsi dalla pagina – a cui l’Autore stesso l’ha proditoriamente infissa – e liquefarsi in voce.
Voce roca, cadenzata, notturna, ma replicabile e perciò viva. Nel tempo sperso o sparato di chi grida il suo destino da un palco, reale o immaginario. Mentre le mani elettriche di un ragazzo, di una generazione, stanano dalla chitarra il dopo. Affinché il presente si schiodi dal silenzio e dal rumore. E tutto si esprima attraverso la lingua cantata del pensiero.
In ogni caso, il peso della penna come una pistola, insegna Seamus Heaney, è il miglior viatico.

Prefazione firmata da
Emilio Rentocchini