Può esistere qualcosa di più precario che raccontare in frammenti la precarietà, sentimentale e non, di oggi?
Fabrizio Tagliaferri, in questa primissima raccolta di poesie, non ambisce a mettere ordine nell’affollarsi dei suoi mostri di carta. Si accontenta, ma senza l’accenno di resa alcuna, di lasciare che prendano il sopravvento, nel loro succedersi affannoso e naturale.
Tentando di dar vita al suo sogno poetico, non persegue vie scontatamente liriche. I suoi occhi non cercano ispirazione nelle vie celesti, ma restano ben ancorati a terra.
Le sue parole trovano nutrimento in una genuina tazza di latte, nei buoni tortellini della nonna. Percorrono luoghi di sapore tondelliano, abitati da prostitute crudeli quanto materne, letti consumati da amori agrodolci, bagarini senza memoria che vendono biglietti per spettacoli inesistenti, e insospettabili poeti alla guida di una vecchia auto malandata.
Prende vita così il ritratto (abbozzato) di una generazione giovane, o forse costretta a rimanere tale, che scorrazza dentro e contro un’asfissia, pronta nonostante tutto ad aprirsi, quasi violentemente, al colore e alla gioia.
La profondità e l’originalità di questa raccolta poetica risiedono non nella dimensione del canto ma in quella della narrazione. Il poeta ci regala storie inesemplari, incontri prosaici, scenari umili e personaggi lontani dai grandi eroi. Ecco allora che, proprio quando il ritmo cresce e la retorica potrebbe prendere il sopravvento, il poeta mette mano all’ironia. Sfugge liriche invocazioni alle stelle capaci solo di rimandarlo a settembre, si interroga sul mistero della fede immaginando Dio ballare il rock, si rivolge all’amata con ormonali moine.
L’estremo realismo, però, non è sinonimo di desolazione, ma si offre come atto di estrema sincerità, uno sguardo sul piccolo mondo reso con occhi disillusi, ma non per questo disinnamorati. Infatti i delicati fiori hanno lasciato posto a spine in grado però di regalare verdi germogli. C’è sempre una Arianna a donarci la speranza e, come l’uomo col cuore in soffitta, si vive grazie a delle macchine ma si muore ancora per amore.
Succede allora che, in un mondo che poco concede alla poesia, si faccia strada il fiabesco e il pessimismo si tramuti in precario ottimismo.
Che consista proprio in questo il nostro credo quotidiano?
Marie Louise Crippa