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SOGLIA CRITICA

Due omicidi si susseguono nel giro di pochi giorni nel cuore di Bologna. Sulla scena del crimine una rappresentazione simbolica: una scala, il libro “Bel Ami” di Guy de Maupassant e un messaggio. Da questi elementi, e dalla convinzione che i delitti non siano l’opera di un serial killer, partono le indagini del commissario Scozia e della vicecommissario Fiorentino. Cosa si nasconde dietro quei delitti? I due poliziotti sono convinti che per arrivare alla verità sia necessario scavare nel passato delle vittime, scoprire ciò che le accomunava. Ma quando le indagini sembrano puntare i riflettori sul colpevole, la scoperta di un nuovo cadavere rimette tutto in discussione.
Dopo il successo di “Tutto cambia”, il commissario Scozia torna protagonista, insieme alla sua vice Sara Fiorentino, di un nuovo intricato caso.

 

 

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OCEANI E ALTRE VASTITA’

Non so, lettore, se ti sia mai capitato di prendere tra le mani quei biglietti d’auguri antichi, nei quali le parole in bella grafia si mescolavano a immagini dipinte a mano tra oli e luccichii, dove anche le dita assaporano la superficie vellutata e crespa  degli accumuli di colore, una dimensione che per qualche istante immerge in un mondo lontano che ci riporta a qualcosa di perduto, di una infanzia di stupori e speranze non ancora tradite.
Quello che da questi testi trapela è una serie di proiezioni in un tempo sospeso, come interrotto, rallentato, quadri che fissano nell’istante immobile della parola, frammenti di vita che l’autrice coglie attraverso una natura umanizzata, che riconduce a un rapporto più autentico quel sé dell’infanzia che, dimenticato dalla vita adulta, riemerge in uno stupore soffocante.
La raccolta si snoda attraverso tre temi conduttori (natura, epica, sentimento), in una ricerca che attraversa linguaggio e metrica, dalle forme libere a quelle classiche, in un succedersi istintivo, senza sezioni, poiché, in sintonia con la sensibilità della poetessa, spontaneamente si propongono al lettore.
Quella che emerge è una natura-madre che parla all’uomo con immagini che sembrano rifiutare la cristallizzazione intellettuale del simbolo, per assumere quella di semplice sensazione ristoratrice.
Così gli eroi, uomini senza nome, perché appunto uomini, sfumati nelle loro epoche lontane, sembrano cogliere il segreto del tempo e l’essenza di un’esistenza consapevole delle alienazioni del male, vagando nei loro universi mitici fatti della stessa materia del sogno, ma con piedi ben saldi nella solida terra.
È questa la concessione più forte che l’autrice fa alla natura femminile, un viaggio nella vita in cui le radici dell’anima tengono la rotta attraverso un senso di serenità che va oltre i travagli e gli apparenti vuoti dell’esistenza.

                                                                                                                                                                                 Professor Oscar Fontanini

 

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VI CUCINO LA NATURA AUTUNNO INVERNO

Cambia la stagione, cambiano gli alimenti.
Con grande soddisfazione vi propongo le ricette della mia tradizione famigliare, nel periodo dell’anno in cui la nostra cucina propone il meglio. Ed ecco i piatti che uniscono davanti al focolare, come la polenta fumante, la mia preferita, che un tempo si consumava stesa direttamente su un tagliere di legno (stiada), accompagnata da vari intingoli, soprattutto di carne, e innaffiata con un bicchiere di buon vino rosso.
Vi parlerò inoltre della regina delle feste, la pasta sfoglia, indispensabile nella preparazione dei piatti delle grandi occasioni. Non dimenticherò i dolci, per i quali vi proporrò di utilizzare i frutti dell’estate, essiccati al sole o trasformati in marmellate e sciroppi.
In ogni ricetta non mancherà il mio tocco personale, pensato per chi ha intolleranze alimentari o è vegetariano.
Buona cucina a tutti!

                                                                                                                                                                                                               Cinzia Marchi

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DAL DRAGONE AL DON. BIGLIETTO DI SOLA ANDATA

Aldo Corti, classe 1922, ha partecipato alla Campagna di Russia come artigliere alpino nel Gruppo Val Camonica, Divisione Tridentina. In questa autobiografia ripercorre la tragica esperienza della ritirata di Russia e la storia della sua famiglia dai primi del ʼ900 fino alla guerra civile, che è stata particolarmente feroce nel Comune dove ha sempre vissuto, Montefiorino.

Ho avuto la fortuna di trascorrere interi pomeriggi a chiacchierare con Aldo Corti. I suoi racconti volgevano inevitabilmente alla dolorosa esperienza vissuta in Russia tra l’agosto del 1942 e il gennaio dell’anno successivo. Conoscevo le vicende del contingente italiano in terra sovietica dai  libri di storia e da qualche documentario visto in televisione: tutt’altra cosa è aver potuto vivere la ricostruzione di quei mesi drammatici attraverso le parole di chi ne è stato protagonista.
Ringrazio Aldo per la generosità che mi ha dimostrato nel voler tramandare a me, così come a tante altre persone, una parte molto significativa della sua esistenza, insieme ai difficili episodi che si sono succeduti nella sua terra d’origine, Montefiorino, nei mesi successivi al suo rientro in patria.
Perché Aldo Corti, come tanti altri giovani e giovanissimi degli Appennini, non è stato solo un alpino arruolato nel Gruppo Val Camonica, Divisione Tridentina, scampato alla disastrosa campagna di Russia. È stato anche un uomo costretto a fare i conti con i tormenti e le ferite da congelamento che la guerra gli ha lasciato addosso, insieme al terrore di essere richiamato su qualche altro fronte. E poi le incertezze esplose dopo l’8 settembre e l’inizio della lotta armata per la liberazione, che ben presto ha assunto i connotati di una vera e propria guerra civile.
Dopo l’8 settembre, la guerra di Aldo non era ancora finita, come se l’esperienza in Russia non avesse già abbastanza messo a dura prova il suo fisico e la sua mente. Abitando a Montefiorino, dove nel frattempo si era rimesso a fare il fotografo e il barbiere per dare sostentamento alla sua famiglia, ha vissuto in prima persona un altro pezzo della storia italiana, quella che i libri di scuola spesso raccontano con eccessiva superficialità.
L’aggravante, come se per Aldo fosse stata una libera scelta piuttosto che una folle coercizione, era quella di aver combattuto, alleato dei fascisti, contro i sovietici. Come barcamenarsi tra i partigiani da una parte, fondatori proprio a Montefiorino della Repubblica partigiana, e i nazifascisti dall’altra? Tra i primi c’erano gli assassini del padre di Aldo, Olimpio Corti, ucciso per ragioni che tutt’oggi si fa fatica a comprendere o anche solo a intuire. Tra i secondi gli autori di sanguinose stragi, spesso a danno della popolazione montanara inerme, e dell’incendio che devastò il centro di Montefiorino, tra cui il negozio della famiglia Corti.
Fatico a immaginare quanta forza e quanto coraggio ci siano voluti per ricominciare ogni volta, aggrappandosi alla certezza che un futuro migliore si sarebbe prima o poi manifestato. Ed è proprio questo il significato più profondo che ho colto nei racconti di Aldo, che riguardassero la campagna di Russia, la guerra civile o il periodo della ricostruzione: aggrapparsi alla speranza, non mollarla neanche per un secondo.
Ognuno ha le sue guerre da combattere, ogni giorno: Aldo, come tanti suoi conterranei, ha combattuto la sua, violenta, terribile, inutile, in una terra lontana in cui ha comunque deciso di tornare molti anni dopo, forse per capire l’incomprensibile, dargli una consistenza, una dimensione, e quindi lasciarselo alle spalle. Senza mai dimenticare.
Ed ecco spiegata l’urgenza di raccontare, attraverso parole e scatti fotografici che ha portato nelle scuole ed esposto in occasione di numerosissime mostre, il bisogno forse anche di insegnare, con grande umiltà, che dalle esperienze più drammatiche è possibile rialzarsi.
Perché la speranza non è un concetto astratto: io ho avuto la fortuna di vederla negli occhi ormai stanchi di un vecchio e generoso alpino, di percepirla nei suoi racconti, di coglierla nella semplicità di un uomo protagonista di una parte tormentata e controversa della nostra storia recente.

Grazie Aldo
                                                                                                                                                        Roberta Rossi
                                                                                                                                       Direttore responsabile di Edizioni Terra marique

 

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BELLE PERSONE

Spesso si dice che un racconto, per essere un vero racconto, debba avere un inizio, un centro e una fine, una trama  – anche se sottaciuta – costruita ponderando ogni peso, e limando ogni parola fino a raggiungere il massimo di significato, e insieme di mistero, nel minimo dello spazio. Questo è vero, ma è solo una parte, per me: perché un racconto può essere anche volutamente sporco, sospeso, sbilanciato generosamente nella sua struttura, eppure contenere un guizzo, il grumo di un “qualcosa” che è insieme la descrizione creativa di un mondo e il simbolo di quello stesso mondo.
Io non so se queste prose di Luca Casoni siano tecnicamente racconti in base alla prima definizione, o semplicemente pezzi fulminanti, scorrevoli e pieni di vita. Di sicuro, contengono quel guizzo, quel “qualcosa”: descrivono, ricreano descrivendo, un mondo.
Il trattore a cingoli del nonno, i leoni che sbragliano al lago, la sbruffoneria e i corteggiamenti, il Calvario da cui si guardano le stelle e le topine, il rock e l’Ape 50, l’odore dell’asfalto appena steso in mezzo ai castagneti. Questo mondo esiste, ed è così bello leggerne, e anche scriverne.
Luca Casoni lo fa con passione e divertimento, sempre un po’ ghignando: un bello sganassone con cui rimetterci a posto, alla fine, lo tiene sempre da parte. È una gran bella caratteristica di questi testi che il più delle volte, come si diceva, magari non sono storie in senso stretto, piuttosto atmosfere che si sviluppano dettaglio su dettaglio, si tendono giocando con l’attesa, e poi si chiudono, come un elastico mollato a brutto grugno. Alcune si chiudono con una sentenza, con una delusione, un colpo di scena, o un numero da disgraziati; altre sulla soglia di una porta, proprio un attimo prima di aprirla, prima che il giovane protagonista e narratore sappia se il mondo che sta oltre verrà conquistato o gli crollerà davanti agli occhi. Ma l’importante è che questo mondo esiste, e man mano che leggerete, vi renderete conto che continua a esistere, ed è il vostro, e proverete insieme orgoglio di viverci dentro, e malinconia.

                                                                                                                                                      Sandro Campani       

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VI CUCINO LA NATURA PRIMAVERA ESTATE

Dalla mia esperienza sono nate tante semplici ricette che seguono il susseguirsi delle stagioni e utilizzano i prodotti che la terra naturalmente ci offre.
La mia cucina è influenzata dalla tradizione, dai sapori della mia terra, la zona collinare reggiana. Tra le pagine di questo ricettario troverete piatti tipici rielaborati per chi a tavola ha esigenze particolari, come i vegani, i vegetariani e chi soffre di intolleranze alimentari.
Nulla è lasciato al caso in quello che non definirei un semplice ricettario, quanto una stimolante e curiosa proposta per portare in tavola i piatti della tradizione reggiana, strizzando l’occhio al mondo vegetariano e vegano. Una scelta insolita quella dell’autrice Cinzia Marchi, proveniente da una famiglia contadina di Cerredolo, e quindi legata a una tradizione fatta di concia del maiale, gnocco fritto preparato con lo strutto e salumi. Eppure l’esperienza le ha insegnato che si possono gustare ottimi cibi scegliendo con grande attenzione quello che la terra offre, secondo il corso delle stagioni e restituendo al nostro organismo tutti i principi nutritivi di cui necessita.
Non solo ricette, ma anche una particolare attenzione a come muoversi tra le risorse che il nostro territorio ci offre, dal mercato contadino ai prodotti a chilometro zero. E poi le attenzioni in cucina, quando ad esempio si devono pulire e quindi cucinare le verdure. Infine la conservazione in dispensa dei prodotti, dalla surgelazione alla preparazione di marmellate e conserve.
Nulla è lasciato al caso, appunto. Perché Cinzia Marchi ha realizzato questo primo ricettario dedicato alle ricette primaverili ed estive, mettendoci la passione e la conoscenza sviluppata in anni di lavoro ai fornelli. “Una tela bianca” – è così che Cinzia definisce il piatto – “da abbellire con colori e sapori che soddisfino il palato e lo spirito, usando creatività e passione”.

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IL MIO GRANDE PISELLO

Ad alcuni piacerà il mio modo di raccontare, ad altri no: ne sono preparato e accetterò allo stesso modo qualsiasi giudizio, basta che sia appassionato e sincero. Sappiate che tutto quello che andate a leggere è la pura verità, nulla è inventato per suscitare la curiosità verso questo scritto o renderlo più divertente.
Penso che sia la mia mano a guidarmi, così come hanno fatto tante persone, le quali mi hanno accompagnato durante la mia esistenza. Il mio intento è di dare forma ai miei pensieri, nella speranza che le parole scritte con sottile inchiostro nero sulla pagina bianca siano interessanti per chi le leggerà.

 

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LA STORIA DELLA MIA VITA

Io Lamberti Arianna, nata nel 1927 a Montefiorino, sposata con Andrea Donini dal 22 maggio 1948, vorrei tentare di raccontare la mia vita, con qualche accenno di storia del mio paese, quella di mio marito e la nostra vissuta insieme per ben sessantadue anni e mezzo, fino al 29 ottobre 2010, quando sono rimasta vedova.
Spero che la memoria mi aiuti a fare ciò che mi sono ripromessa, affinché rimanga ai miei quattro figli, Patrizia Donatella, Paola, Giorgio e Giovanni, ai miei quattro nipoti, Lisena, Marco, Daniele e Melany, e ai quattro pronipoti Gabriele, Giorgia, Andrea e Federico, il ricordo e l’esempio mio e di mio marito Andrea.

Tre quaderni scritti in bella calligrafia, pagine fitte di ricordi nei quali è facile perdersi e commuoversi, una straordinaria lucidità nel raccontare oltre ottant’anni di vicende personali, e, tra questi, sessantadue di vita coniugale.
Un’esperienza semplice e allo stesso tempo unica, vissuta con coraggio e tanta dignità di fronte alle gioie e ai dolori della propria esistenza. La voglia di lasciare una testimonianza di sé, del percorso condiviso con un marito che ha lavorato sodo per la sua famiglia e il cui solo ricordo muove lacrime e commozione.
Questo è quanto, qualche mese fa, Orianna Lamberti mi ha consegnato: tre quaderni scritti a mano, preziosi come solo le parole che prendono forma su fogli bianchi sanno essere. L’autrice mi ha quindi pregata di trasformarli in un libro, una pubblicazione semplice, diretta, senza fronzoli, così com’è il suo modo di comunicare e, in senso più ampio, di intendere la vita.
Dalle pagine scritte da Orianna è nata “La storia della mia vita”, che, in qualità di editore, pubblico con grande entusiasmo, condividendo il pensiero dell’autrice: raccontare la propria storia, quella di suo marito Andrea Donini, scomparso nel 2010, della loro famiglia e sullo sfondo, quella del paese nel quale hanno vissuto, Montefiorino con le sue frazioni e borgate, per lasciare di sé una testimonianza sincera, priva di qualsiasi presunzione.
Sono certa che il lettore saprà comprendere e apprezzare il significato di una scrittura che, nella sua semplicità, vuole essere un modo per ricordare momenti di gioia, per condividere i principi dell’onestà e della forza d’animo, per stimolare chi si trova a convivere con grandi difficoltà quotidiane a guardare con ottimismo al futuro.
Come ha saputo fare Orianna, piccola di statura, timida e riservata di carattere, ma tenace e combattiva di fronte ai grandi ostacoli della vita.
Il pensiero di Orianna, nelle battute finali della sua autobiografia, va ai figli, ai nipoti e ai pronipoti, i quali saranno fieri di leggere tra le righe del libro l’amore e la dedizione a loro dedicata da Orianna e Andrea, due persone come tante, ma a loro modo eccezionali.

                                                                                                                                                        Roberta Rossi
                                                                                                                                       Direttore responsabile di Edizioni Terra marique

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NESSUNO

Una lettera carica di mistero sconvolge la vita di un gruppo di quarantenni, un tempo compagni di scuola. I loro destini, identici per provenienza geografica – Sassuolo, provincia di Modena – ma lontanissimi per scelte lavorative e famigliari, torneranno a incrociarsi in occasione di un evento particolare: il funerale di un individuo con il quale sembra abbiano condiviso gli anni scolastici, ma di cui non ricordano l’identità.
È lo stesso misterioso individuo, tramite una lettera scritta poco tempo prima di morire e fatta recapitare loro, a morte già avvenuta, dal suo fedele servitore, a condurli nella sua lussuosa dimora, immersa nella campagna pugliese.
Ad attenderli, oltre il maestoso cancello sul quale campeggia una targa con l’incisione “Residenza Nessuno”, una villa spettacolare, dove il lusso degli arredi si confonde con l’abbondanza di tavole imbandite e la solerzia della servitù pronta a soddisfare ogni loro desiderio.
Immersi nella magnificenza che soddisfa occhi e palato ed esalta gli istinti primordiali al godimento, gli ospiti dello strano convegno funerario saranno tuttavia tormentati dalla necessità di comprendere la situazione in cui si trovano, guidati dalle parole di Nessuno, che, postume, piombano a sconvolgere le loro anime, non immuni da colpe e pesanti responsabilità.
Nessuno è un rimorso nella coscienza collettiva, la nemesi che conduce il gruppo di vecchi amici alle soglie di un incubo travestito da sogno. Nessuno è la voce che arriva dal passato a riprenderli, a trascinarli in un inferno di lusso senza regole.
Otto vite avare di felicità, otto diverse ragioni per fuggire da una realtà solo in apparenza perfetta. E un solo comune denominatore, Nessuno. Non ha nome, non ha volto: è l’ombra che incombe sulle loro coscienze. E sarà lo spartiacque fra quel che è stato e quello che deve essere.

 

 

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STORIE DI SAN CASSIANO E DEBBIA

L’immagine di un ideale visitatore che si trova a scoprire questi luoghi, separati dalla pianura tramite una serie di curve che si snodano in mezzo a distese di campi, trova compiacimento nell’apparizione quasi improvvisa della chiesa di San Cassiano, immersa nel verde di una vegetazione domata e ben curata. E si ritorna a Debbia, a un’altitudine più bassa, in un saliscendi di strade che portano verso la chiesa e l’antica torre. È una zona bella da abitare e interessante da scoprire, borgata dopo borgata, se non altro per la vegetazione che accoglie il visitatore in un mondo a parte, quasi incantato, a pochi chilometri dalla pianura industrializzata.