IO BAMBINA
Sfilavo le spighe verso l’alto con la manina tenera di allora, lo facevo con tutta la forza affinché il risultato fosse certo.
Il pennacchio a punta significava che sarebbe stato maschio, altrimenti sarebbe stata femmina.
Avevo otto anni, in questo modo ipotizzavo il sesso del mio primo figlio quando sarebbe venuto al mondo.
Non era previsto nei miei pensieri di bimba che ciò potesse non accadere.
I bambini nascono e io ne avrei avuto uno.
Durante l’infanzia sentivo forte il desiderio di maternità: seppur fosse un pensiero prematuro, tutto ciò che era legato a una nuova vita, sia negli animali che nelle persone, mi coinvolgeva fortemente.
Quando a sei anni assistetti per la prima volta alla nascita di un capretto dentro la piccola stalla in cui mia mamma teneva le sue adorate capre Bilita e Gina, mi resi subito conto a quale miracolo stessi assistendo.
Il belare di Bilita mentre la testa del capretto faceva capolino non mi turbò: era un dolore buono, necessario, finalizzato a una gioia profonda anche per una capra, pensai. La tenerezza con cui la mamma lo pulì con la lingua, i suoi occhi dolci ancora sofferenti mentre la placenta penzolava dal suo corpo, l’odore del fieno sotto di lei misto a quello del sangue, il calore umido formatosi per il suo e il nostro respiro rendevano quel posto incredibile.
Mi accoccolai vicino alla mamma, come a ringraziarla di avermi fatta femmina, destinata a procreare.