Poesie di scarto
Prefazione non conclusa
Scrivere una prefazione è generalmente cosa complessa, ma quando capita di dover premettere parole alla poesia, dire delle cose prima di un poeta, allora ciò che sembrava difficile diventa impresa eroica. I tempi sono quelli che sono e, si sa, gli eroi soffrono di qualche acciacco. A venire in soccorso al mio tentativo di decifrare il libretto che il lettore si trova fra le mani, è stata l’intervista di Nanni Delbecchi ad Andrea Cortelessa su “Il Fatto Quotidiano” del 9 luglio 2015. Scrive Cortellessa, riprendendo Asor Rosa: “La poesia resta fuori dalla melassa mediatica, in quanto priva di un tornaconto commerciale. Questo la rende il genere più vitale della nostra letteratura, ma è anche la sua parte maledetta, nel bene e nel male”.
L’esordio poetico di Davide Leone è certamente fuori commercio nella patria mediatica che vende sentimenti a buon mercato. La struttura stessa della raccolta non si rassegna alle classiche teorie di genere. Il titolo “Meteoritica” suona come un ossimoro, sospeso fra la meteorologia moderna e il rito antico della pre-visione.
Il canzoniere si apre con una prosa che fa il verso alla poesia e alle immagini che affollano la provincia, seguono poi dodici liriche. Appena il tempo di tirare il fiato e ci si ritrova nuovamente a fare i conti con un testo scosceso. Appaiono uno scalpello, uno zoccolo e il bello. È “L’inizio della fine” ad aprire la seconda sezione, ventuno poesie che si aprono a mondi disparati e irreali, dove persino le colline sono paesaggi di pezza. A chiudere, due testi legati a un fantomatico Signor J: “Incrosticidio” e “Lettera dal Silente oltrescuro spazio dell’insopprimibile”.
Difficile decifrare l’universo poetico di Davide Leone, del resto i numeri e le lettere si inseguono nella plaquette a testimoniare il desiderio di lasciare traccia, segno. Nella poesia “Numero 51”, l’essenza stessa della casa pare ingoiata dalla cifra che brucia ogni anima. Campeggia in tutta la raccolta il desiderio della fine: Lasciami andare via/perché ora non c’è più/perché l’ora non è mai esistita/lasciami per sempre tu/che urli senza fiato: la vita. Ancora una volta l’esperienza dell’esistenza deve misurarsi con la solitudine: Sono stato scacciato/dai miei simili/ho provato solitudine/al sicuro/sotto al letto. Svinta è l’immagine della vita e al poeta non resta che raccoglierne i trucioli. L’immagine dell’Albatros nero in picchiata, di baudelairiana memoria, rende perfettamente tempi che non sono più. La lingua pare non bastare e i neologismi si rincorrono. Il nuovo conio non semplifica la lettura del testo e l’autore non sembra interessato a restituire verginità alla lingua. Alcuni neologismi rimandano a significati onomatopeici, ma più spesso si ha la sensazione di una vera e propria esplosione del segno, di una sciarada enigmistica. Alla sperimentazione linguistica si unisce il verso libero e la ricerca di assonanze, consonanze, allitterazioni. Ed è proprio nella ripetizione ossessiva di certi suoni flauti in frantumi frenando il fumo, che trova spazio lo scarto, il ballo.
Seduto su una poltrona infeltrita, un anziano signore, esaudiva desideri ai suoi scarti.
Ogni scarto: un ballo.
Buona lettura.
Francesco Gallo
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