Non so, lettore, se ti sia mai capitato di prendere tra le mani quei biglietti d’auguri antichi, nei quali le parole in bella grafia si mescolavano a immagini dipinte a mano tra oli e luccichii, dove anche le dita assaporano la superficie vellutata e crespa degli accumuli di colore, una dimensione che per qualche istante immerge in un mondo lontano che ci riporta a qualcosa di perduto, di una infanzia di stupori e speranze non ancora tradite.
Quello che da questi testi trapela è una serie di proiezioni in un tempo sospeso, come interrotto, rallentato, quadri che fissano nell’istante immobile della parola, frammenti di vita che l’autrice coglie attraverso una natura umanizzata, che riconduce a un rapporto più autentico quel sé dell’infanzia che, dimenticato dalla vita adulta, riemerge in uno stupore soffocante.
La raccolta si snoda attraverso tre temi conduttori (natura, epica, sentimento), in una ricerca che attraversa linguaggio e metrica, dalle forme libere a quelle classiche, in un succedersi istintivo, senza sezioni, poiché, in sintonia con la sensibilità della poetessa, spontaneamente si propongono al lettore.
Quella che emerge è una natura-madre che parla all’uomo con immagini che sembrano rifiutare la cristallizzazione intellettuale del simbolo, per assumere quella di semplice sensazione ristoratrice.
Così gli eroi, uomini senza nome, perché appunto uomini, sfumati nelle loro epoche lontane, sembrano cogliere il segreto del tempo e l’essenza di un’esistenza consapevole delle alienazioni del male, vagando nei loro universi mitici fatti della stessa materia del sogno, ma con piedi ben saldi nella solida terra.
È questa la concessione più forte che l’autrice fa alla natura femminile, un viaggio nella vita in cui le radici dell’anima tengono la rotta attraverso un senso di serenità che va oltre i travagli e gli apparenti vuoti dell’esistenza.
Professor Oscar Fontanini